Se ci guardassimo tutti con gli occhi di una mamma che guarda suo figlio appena nato, forse nel mondo ci sarebbe meno rancore…
Sì rancore! Non rabbia.
Perché la rabbia ha una sua dignità, è un utile strumento che allena la forza e la direzione.
Ci aiuta a capire cosa vogliamo, e cosa no, nella vita.
Ci parla dei nostri valori, dei nostri principi, dei nostri sentimenti.
Il rancore, invece, è un’altra storia.
E te ne accorgi quando resti a lungo nella rabbia, senza trasformarla.
Il rancore non costruisce nulla di piacevole nel cuore di chi fa questa scelta di “restare”.
Si dice “Portare rancore” proprio perché lo si porta con sé come uno zaino pesante sul cuore.
Non sulle spalle, che, magari, un amico può anche toglierti se ti vede in affanno.
Lo zaino sul cuore, invece, lo vedi e lo senti solo tu che lo porti.
E ti fa guardare il mondo intorno a te come non è, perché tutto è visto attraverso i filtri della rabbia, che non si stacca e riempie la zaino.
Arrivano l’orgoglio, il desiderio di vendetta, il desiderio di far provare ciò che ti hanno fatto provare e così, strada facendo, lo zaino si riempie al punto che il cuore, così schiacciato, non batte più come dovrebbe, ma accellera per scappare.
Ma dove poi? Se lo zaino è attaccato…?
E allora ti fermi.
Ti ascolti.
E senti che ciò che provi non ti piace. Non ti fa stare bene.
E capisci che tutta questa rabbia, portata dentro, ti ha impedito di splendere, così come deve fare ognuno di noi.
Sì splendere!
Perché ognuno di noi è nato per questo: per illuminare se stesso e il mondo intero.
La rabbia è un’amica potente.
Il rancore un nemico sottile e forse invisibile.
Se impariamo a trasformare la rabbia in forza ed a lasciare andare il rancore, che vorrebbe attaccarsi al cuore ogni volta che veniamo feriti, la luce arriva.
Non c’è tempo da sprecare vivendo emozioni che ci tolgono la nostra luminosità.
Non c’è tempo da sprecare vivendo emozioni che non costruiscono il nostro benessere.
E’ vero ci sentiamo feriti.
Ma non è che accade perché non accettiamo di essere diversi e unici?
Non sarà che non ci fermiamo abbastanza a pensare che ciò che ci ferisce è la nostra aspettativa delusa, frutto dell’idea che gli altri debbano essere, per noi, coloro i quali accendono l’interruttore della nostra luce?
Non sarà che speriamo di ricevere dagli altri ciò che dobbiamo costruire in noi, da soli?
Io mi arrabbio.
Certo che mi arrabbio.
Mi arrabbio quando non sono ascoltata.
Quando non sono rispettata.
Mi arrabbio quando vedo delle ingiustizie verso i più deboli.
Quando chiedo aiuto senza riceverlo.
Mi arrabbio quando qualcuno dice di me, ciò che di me non è.
Mi arrabbio quando vedo animali maltrattati e quando vedo bambini che fanno i bulli, ferendo.
Mi arrabbio quando non mi dò valore.
Mi arrabbio quando ascolto solo le mie paure, dimenticando le mie risorse.
Mi arrabbio quando ciò che vorrei diverso, diverso non diventa.
Mi arrabbio quando qualcuno decide per me.
Mi arrabbio quando vengo fraintesa e giudicata.
Quando mi accorgo di non essere considerata.
Mi arrabbio quando il mio spazio vitale viene calpestato.
Rancore?
Quello no.
Non ho voglia di avere il cuore pesante.
Voglio avere fiducia nelle persone.
Voglio pensare che ogni sbaglio sia un insegnamento.
Voglio pensare che ognuno faccia il meglio che può.
E voglio scegliere.
Se qualcosa o qualcuno mi fa male, posso scegliere di cambiare strada.
Ma cambiarla con il cuore libero da rancore.
Con il cuore leggero.
E la luce negli occhi.
La stessa luce che mi permette di cogliere un’altra strada.
Un’altra rabbia e un’altra forza.
Ma rancore no,
quello proprio no.
Non lo voglio con me.
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