Il mio blog

Dic 7, 2021 | Pensieri | 2 commenti

Fermiamoci e ascoltiamoli

Le parole hanno un grande potere.

Accendono emozioni, pensieri e azioni, durante tutto il percorso della vita.

Quando si frequenta il liceo, tutto questo potere è amplificato, perché contiene anche tutta la forza e l’energia della trasformazione.

Da bruco, i ragazzi, infatti, imparano a mettere le ali per diventare la farfalla che desiderano essere, libera di volare verso la loro direzione.

E’, quindi, attraverso le parole, che abitano in loro, che possiamo conoscere il loro mondo interiore, per poterlo ascoltare con l’empatia necessaria a dare un senso al loro agire trasformativo, anche quando il senso sembra, in apparenza, mancare.

Quando, da adulti e da educatori, si compie la scelta di fermarsi e concedersi il tempo di ascoltare con cuore aperto, si può facilmente intuire quanto le emozioni siano un terreno delicato, prezioso e poco conosciuto, perché i ragazzi, spesso, si esplorano poco, o troppo senza consapevolezza o con confusione o senza una direzione o guida.

Spesso la velocità e la mania di perfezione sono, per loro, ostacoli importanti che sfociano in una apparente superficialità che maschera una profondità reale.

Ecco perché, quando ho avuto l’opportunità (per me un dono) di parlare con alcuni ragazzi che frequentano l’istituto Majorana di San Lazzaro, per tutto quello che sta accadendo relativamente al blocco dell’ampliamento degli spazi, sono partita da alcune parole: 

Fiducia, 

coraggio, 

pazienza, 

rispetto, 

considerazione, 

utilità, 

unione, 

rabbia, 

responsabilità 

e motivazione.

Ho cercato di farlo in punta di piedi, con il massimo rispetto, gentilezza ed attenzione.

Ed ecco che la meraviglia ha iniziato a colmare il mio cuore.

Quello che accade dentro questi ragazzi, dove non si vede, noi adulti possiamo abitarlo, senza essere ciechi di fronte ai loro bisogni, ma accogliendoli con il desiderio di cancellare ogni nostro pregiudizio o stereotipo.

Vivere una scuola che non permetta loro di avere uno stile di vita in benessere, si traduce in un tempo che sfugge via, senza valore profondo che nutre.

E questo tempo, è tempo di vita per loro.

E’ il tempo della curiosità che non può più essere vissuta come guida preziosa e speciale per costruire la propria identità.

Il contatto ritrovato con la presenza a scuola è per loro un tempo di condivisione essenziale che li aiuta a toccare con mano quanto si cresca anche attraverso la relazione con l’altro, perché siamo esseri sociali.

Tutto questo, però, in un’epoca di pandemia mondiale che richiede turni per garantire la frequenza a tutti gli allievi dell’istituto, ha un prezzo altissimo: quello di sentirsi schiacciati da ritmi scolastici e luoghi provvisori che non permettono loro di vivere la scuola in maniera umana, così definita da loro, ed essere, così, limitati nel conoscersi davvero per scoprire chi si è e cosa si vuole realizzare o anche semplicemente per viversi come studenti sereni.

E’ come se a loro mancasse un pezzo. 

Un pezzo che, noi, nei nostri ricordi, abbiamo.

Questi ragazzi hanno provato a vivere, questi ultimi mesi, allenando tutte le loro risorse, le loro capacità di fare e di stare, la voglia di vivere con quello che c’era e con quello che si poteva e ci sono anche riusciti, con tutti gli alti e i bassi, sani e comprensibili.

Il tempo che trascorreva era, ed è, comunque tempo di vita da vivere per loro, e non semplicemente da lasciar passare, perché la vita è fatta di anima e corpo e, quando il corpo è bloccato, l’anima deve andare ad un’altra velocità e deve prendere per mano l’immaginazione, la creatività e il desiderio di costruire scenari sperati.

Ecco perché, rientrati a scuola, erano pieni di speranze e aspettative.

Perchè quel pezzo di vita, fatto di esperienze negate, c’è e non si può far finta di nulla, né abbellirlo a tutti i costi, c’è e fa soffrire e crea un desiderio di risarcimento che non è stato vissuto, anzi è stato letteralmente schiacciato dalla delusione di vedere come gli adulti non siano stati di parola e come i progetti, già approvati, per donare loro una scuola con spazi sufficienti per tutti, senza creare turni disumani, siano stati bloccati senza ricevere alcuna spiegazione.

Ed è proprio a loro, invece, che dobbiamo spiegare.

Non è sufficiente dire che ci vogliono maggiori finanziamenti.

Perché sono loro che hanno delle pagine vuote e bianche nel mezzo del libro della loro vita, proprio mentre stavano scrivendo di sé.

Ora sono spaesati, scollati, inadeguati, fuori posto, delusi, increduli, stanchi di sentirsi presi in giro.

E come si pensa che una persona con queste emozioni nel cuore possa studiare con serenità, efficienza e risultati?

Di fronte alle pagine bianche, che sono vuoto di qualcosa che non si può più vivere, arrivano mille emozioni ad alterare i mille pensieri che, a quella età, sono già confusi, di per sé.

Ho ascoltato le loro parole, ma ancora di più ho guardato i loro occhi mentre le pronunciavano, la gioia e il senso di accoglienza nel sentirsi ascoltati davvero nella loro emozionalità attraverso le mie semplici domande.

Ci sono elementi tecnici e formali legati a quanto sta accadendo nell’istituto Majorana, nei quali non sono voluta entrare, più che altro per deformazione professionale di scrittrice emotiva.

Mi sono limitata, infatti, all’aspetto più legato al loro sentire, perché sono certa che non ci siano eventi privi di emozioni, così come nessuna azione è neutra e ogni emozione è contagiosa.

Hanno vissuto sulla loro pelle quanto uno schermo non sia un corpo, quanto parlare a voce, guardando negli occhi, sia diverso che inviare un messaggio, quanto darsi una carezza, quando le parole non riescono ad uscire, sia comunque donare amore, quanto discutere dal vivo ti faccia arrivare tutto l’amore che c’è.

Ho letto spesso, con dispiacere, articoli sull’adolescenza con termini poco accoglienti e per nulla indulgenti, ancora con più interesse ho voluto ascoltarli, perché io credo che ci abbiano dimostrato, al contrario di quanto si voglia pensare, di avere la capacità di mettere da parte i loro bisogni, quando serve, che comunque restano e spingono nel cuore, e non spariscono solo perché non si possono vivere, ma nonostante tutto sono desiderosi di formarsi, di crescere, imparare, e di questo, noi adulti, non possiamo dimenticarci o voltarci dall’altra parte.

Un pianto all’improvviso, una litigata in famiglia, una risposta indispettita, un urlo, un ballo scatenato all’improvviso, un brutto voto, un’assenza studiata ad arte, diventano lo specchio di ciò che hanno dentro e non trova spazio fuori per farne esperienza, e noi è proprio lì che dobbiamo e possiamo restare per fare la differenza.

Perché, per navigarle, le emozioni, ne devi fare esperienza, non solo dentro di te, ma anche in relazione al mondo in cui vivi, in relazione al mondo degli adulti che hanno il dono di averli come studenti.

Non c’è bisogno che ripetiamo loro quanto sia necessario tenere “la testa sulle spalle” di fronte a ciò che non funziona, perché lo stanno già facendo con dignità, coraggio e unione.

Il messaggio che volevano far arrivare attraverso la loro manifestazione aveva tre requisiti fondamentali, che ci hanno tenuto a raccontarmi: legalità, chiarezza e ordine.

Sono parole che hanno risuonato molto in me, perché mi hanno parlato di gran parte di ciò che li anima, oltre a ciò che li ha spinti a dire la loro opinione senza creare, appunto, situazioni fuori dalla legalità, non chiare e disordinate.

Loro conoscono bene il valore della vita. 

Il valore dei loro ideali.

Se li stanno costruendo vivendo. Pezzo per pezzo.

Hanno dei principi che li motivano al di là dei nostri tradimenti.

Sì tradimenti! perché quando un adulto non mantiene una promessa, tradisce e nega loro il diritto di vivere una scuola che gli faccia capire che non sono solo degli studenti, dei numeri, ma delle persone con un nome e con una storia (che poi non è mai una sola) che possono e devono, per il loro benessere, avere dei campi espressivi nei quali viversi il loro mondo emotivo più intimo e profondo.

Nessun cervello è in grado di apprendere se non si emoziona piacevolmente.

Possiamo ripetere loro pagine e pagine di contenuti, possiamo chiedere loro di frequentare la scuola otto ore di seguito, mangiare alle 16 del pomeriggio, smettere di fare sport agonistico, rompere le amicizie per mancanza di tempo di frequentazione, non avere dei tempi di famiglia nei quali ritrovarsi, ma se non ci interessiamo, prima di ogni richiesta, di chiedere loro come stanno e cosa provano, tutto il senso dell’educare andrà perduto e finirà per ridursi alla cieca pretesa di un’attenzione e un impegno che non potranno mai verificarsi.

Non possiamo pensare ai loro bisogni come a delle “scuse” che ci mostrano per distrarci o per non svolgere il loro dovere.

E se anche fosse così, comunque noi adulti dobbiamo ricordare che siamo il loro riferimento, la loro guida, il loro esempio e prenderci, così, cura comunque di loro.

Non possiamo pensare di costruire un mondo in cui i ragazzi vivano, nel contesto scolastico quanto meno, una impotenza appresa, ma piuttosto la fiducia e la voglia di conoscersi e viversi per quello che sono, al di là di una materia studiata alla perfezione o di un voto più o meno soddisfacente.

Il tempo della scuola è, per loro, il tempo di fiorire.

Dare vita al frutto che ciascuno è, senza nemmeno sapere quale si è.

E noi educatori non possiamo far altro che allenare la meraviglia di fronte a questa fioritura, sognando l’impossibile.

Questi ragazzi hanno dentro il fuoco della vita che nasce, hanno l’energia della primavera che fa spuntare da ogni pianta il suo fiore, e noi non possiamo in alcun modo spegnerla, tradendo le loro aspettative e il loro progetto di una scuola che permetta loro di vivere in salute.

E sappiamo bene che essere in salute non è semplicemente assenza di malattia, ma, come ci insegna l’OMS, è uno stato di benessere fisico, psicologico e sociale.

Quali sono, quindi, le parole che vogliamo dedicare loro?

Perché ne hanno un gran bisogno.

Quali sono le azioni che possiamo realizzare per avere cura di loro? Per essere cura per loro?

Sono ragazzi che meritano la nostra stima, la nostra fiducia, il nostro sostegno, la nostra presenza autentica, il nostro amore, la nostra fragilità coraggiosa.

Diciamoglielo, allora, che siamo fieri di loro, che sono stati un esempio e una forza, che hanno sviluppato risorse e talenti, che hanno accolto le loro debolezze e che hanno accettato le nostre, che hanno scritto dei cartelloni tenuti in mano davanti alla scuola solo per essere visti davvero.

Non sono ragazzi capricciosi che approfittano di uno spazio loro riconosciuto per saltare le lezioni.

Loro quelle lezioni le voglio mangiare come si mangia il piatto preferito. 

Questi ragazzi vogliono emozionarsi, imparare con passione, essere motivati, incuriositi, ascoltati, guidati, vogliono sentire dentro di loro accendersi il fuoco della conoscenza, che va ben oltre il compito svolto correttamente.

E se li vediamo arrabbiati, proviamo a pensare che quella rabbia gli serva per allenare la forza di cui hanno bisogno per farci capire cosa desiderano per la loro scuola.

Se lasciamo parlare il loro cuore, che si nutre di gesti semplici, forse possiamo uscirne migliori anche noi adulti.

Ecco perché ho scelto di scrivere questo pezzo.

Per dare voce a ciò che abita in loro.

Per provare a mettermi nei loro panni e sentire il loro vissuto.

Sono fortemente convinta che, se i ragazzi avessero un piccolo spazio per vivere le loro emozioni con autenticità senza respirare giudizio, potrebbero aiutarci a costruire una scuola che sia davvero uno spazio di benessere e cura gentile. 

Ogni fioritura parte da quello.

Forse se riuscissimo a prenderci cura di loro, aiutandoli a guardarsi dentro, anche e soprattutto, in questo momento di sconforto e di delusione di fronte a quanto sta accadendo, potremmo mostrare loro la magia dell’imparare ad amarsi esattamente per quello che si è, vivendo le salite della vita con il pensiero di avere delle possibilità di riuscita, e trasformare, così, l’impotenza appresa in fiducia nel cambiamento e nella trasformazione.

Parlare con loro, attraverso le parole, mi ha permesso di mostrare loro quanto sia importante e prezioso dare un nome a ciò che sentono, per poter cogliere le mille sfumature del loro mondo interiore.

Se noi, come adulti, non siamo cura per loro, non possiamo chiedergli di esserlo andando incontro alla vita, mettendosi al timone, per vivere gli anni della scuola come una opportunità vera.

Hanno bisogno di vivere la sicurezza e la certezza che esistano degli adulti in grado di dare voce alle loro emozioni, ancora prima che di riempirli di contenuti.

E non voglio fare del sentimentalismo spicciolo, ma voglio solo ricordare come funziona l’essere umano.

Non si può fare scuola senza dare spazio alle emozioni che abitano in ciascuno di loro e senza dare valore alle parole che riescono a tradurle.

Questo ho cercato di fare scrivendo questo pezzo e questo vorrei tanto che venisse mostrato, anche per dare valore e importanza alla loro disponibilità che hanno mostrato nell’aprirsi e concedersi, per dire la loro opinione.

Non voglio che tutto cada nel vuoto, desidero mostrare loro di aver visto, ascoltato e raccolto, un po’ come quando si versa dell’acqua nel terreno in cui si è piantato un seme che darà frutto.

Voglio ammirare, insieme a loro, il fiore che nascerà, perché ciascuno di quei ragazzi lo è.

«Vogliamo metterci la faccia» mi hanno detto alla fine dell’intervista.

Beh, voglio mettercela anche io, per loro, con queste mie parole scritte.

E sono fiera di averlo fatto!

Maria Elena Friggione

2 Commenti

  1. Claudia

    Grazie per aver dato voce a questi ragazzi. L’istituzione scolastica dovrebbe almeno scusarsi per l’impatto che questo ha sulla vita dei ragazzi.
    Spero che la scuola possa recuperare dando loro spazio per costruire insieme un progetto di scuola in cui si riconoscono.

    Allo stesso tempo spero che i ragazzi abbiano la forza di parlare chiaro, anche con le istituzioni al di fuori della scuola per fare sentire la loro voce.

    I tempi in cui viviamo sono duri in particolare per questa fascia di età …esiste un problema di salute mentale che sta colpendo i più giovani ed è tempo che le istituzioni ed il governo se ne facciano carico …ripartire non significa solo produrre di più, ma anche formare adeguatamente chi guiderà il futuro del paese.

    Rispondi
    • Maria Elena Friggione

      Grazie Claudia per questo commento che mi trova molto in linea.

      Rispondi

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