Oggi #ilviaggionelleparole mi porta a scegliere, tra le vostre parole del cuore, l’EMPATIA.
È una parola che, in passato, ho pensato di possedere, addirittura usandola come presentazione di me stessa il primo giorno di una formazione.
Quanto mi sbagliavo!
Ho imparato che potevo allenarla, però, per possederla molto di più di quello che pensavo.
Oggi so che ho ancora tanto da fare in questo senso, almeno tanto quanto sia il lavoro di amicizia con ogni parte di me che si va viva nella relazione con l’altro.
Iniziamo il nostro piccolo viaggio insieme: Empatia è composta da én= in e pathos= affetto, anche se phatos è qualcosa in più, si riferisce ad una “particolare intensità di sentimento”, e la presenza del sostantivo “intensità”, in qualche modo, ne aumenta la potenza.
Nel mio caro amico-dizionario etimologico, ho letto che empatia è il “fenomeno per cui si crea con un altro individuo una sorta di comunione affettiva in seguito ad un processo di identificazione.”
Ecco perché questa parola risulta spesso faticosa da vivere davvero, perché comporta alcuni fondamentali passaggi: prima di tutto ascoltare l’altro, anche e soprattutto, in ciò che non si vede e non si dice, e, in secondo luogo, farlo mettendo da parte la propria emotività, per non confonderla con quella altrui.
La comunione affettiva, infatti, viene dopo il processo di identificazione.
Viaggiamo allora nel verbo identificarsi, che sembrerebbe la base di tutto: è un verbo riflessivo che significa “sentirsi identico ad un’altra persona, immedesimarsi”, e come, questo, si riesce a vivere?
Il vocabolario scrive con “nessuna o scarsa partecipazione emotiva”. Strano eh?
Ricapitolando: ci vuole un processo di identificazione, una comunione affettiva, e una scarsa o assenza partecipazione emotiva.
Quanti di noi hanno pensato che quest’ultima stoni proprio?
Beh io sì, tante volte, eppure ho imparato quanto sia fondamentale per stare e restare in una relazione con empatia vera.
Come possiamo allenarla?
Forse scegliendo di smetterla di mettersi al centro di una relazione, ricordando quali parti di noi entrano in gioco nel momento in cui pensiamo di essere empatici ed invece stiamo solo dando voce a ciò che noi sentiamo, alla nostra storia di vita, ai nostri schemi e alle nostre convinzioni, senza essere cura per l’altro, mettendolo al centro, con un vero ascolto, sentendo ciò che sente.
0 commenti