L’atto di coltivare, così raro e così prezioso, resta uno dei gesti che mi sta più a cuore e mi commuove profondamente.
Si coltiva una pianta, un albero, una passione, un amore, un’amicizia, la stima verso se stessi e gli altri, la professionalità, la voglia di vivere, il coraggio, la determinazione, la resilienza, ogni rapporto che ci sta a cuore, la meraviglia verso la vita, il desiderio di novità, e la spinta a conoscere il mondo che ci circonda.
Possiamo essere noi stessi terreno da coltivare, seme che germoglia, o persona che il seme lo dona.
Coltivare crea la grande differenza tra ciò che resta e ciò che finisce. È vita che cresce, perché solo coltivando, ogni giorno, con l’autenticità del cuore, si formano radici solide di quei legami che restano al di là di tutto e al di là del tempo, verso persone e verso emozioni e valori.
Coltivare è faticoso, complesso, richiede tempo, energia, attenzione vera all’altro, premura, indulgenza, delicatezza, forza, voglia di vedere oltre, ha bisogno di tanta pazienza e tanto rispetto, di sincerità ed empatia, di autoconsapevolezza e di ironia.
Coltivare è sbagliare tempo e modo, ma averci provato comunque.
Mi piace pensare che coltivare sia una responsabilità personale ed un’opportunità meravigliosa, ma anche una scelta.
Si può decidere di non farlo, infatti, e ricordarlo, però, quando si vorrebbe il fiore, il frutto, l’albero, l’amico e ci si arrabbia con chi avrebbe dovuto coltivare insieme a te.
Si, insieme! perché solo così non ci si perde.
E, a volte, insieme, è semplicemente con se stessi.
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