10 Luglio 1990: giorno dell’orale della mia maturità.
Sono passati esattamente 30 anni.
30 anni! Non mi pare vero.
Il cuore che mi batteva all’impazzata mentre andavo a scuola. Mi sembrava di avere la vista annebbiata dalle tante emozioni che diventavano occhiali spessi attraverso cui guardare il mondo.
Le aspettative, i dubbi, la voglia di dimostrare, la paura di non farcela. La fatica conclusa in pochi attimi davanti a persone che non ti conoscono, che non sanno nulla di te, di chi sei, di cosa pensi, di cosa provi, della tua storia. Eppure tu sei li che metti in mano a loro un pezzo di te perché possano giudicarti. Ecco perché non amo i voti. Perché a 18 anni il voto lo vivi come se fosse scritto sulla tua carta di identità: Ha i capelli neri, gli occhi castani è celibe ed ha preso 60 alla maturità.
Ma non è così. La vita poi te lo insegna.
Ti porta su strade più ripide o più lisce, e ti accompagna verso l’unica direzione che conta: la conoscenza vera di te. E lì non ci sono voti. Lì ci sono solo colori che si mischiano a piacere. A caso. Senza una logica, senza un giudizio, che, se arriva, è pur sempre un colore!
La vita è davvero ciò che ci accade mentre siamo intenti a guardare avanti, e ci fermiamo poco, passano gli anni e poi ci capita di voltarci indietro e renderci conto della strada che abbiamo percorso e ci chiediamo: “ma dov’ero io mentre tutto ciò accadeva?” A volte non ti spieghi le scelte fatte, i momenti vissuti, quelli negati, i rischi che non hai voluto correre, le sicurezze che hai scelto vivendone poi il disagio e la scomodità.
Quante esperienze fatte, e quante non fatte, quanti momenti bui, quanti incroci e bivi senza alcuna segnaletica, quante direzioni sbagliate prese, che poi chissà se proprio quelle ti hanno portata nella via giusta, perché, spesso, è durante il cammino che capisci dove vuoi andare e ti rendi conto che l’idea, che ti ha messa in moto, non esiste più.
Quanti errori e quante gioie, quante soddisfazioni e quanto amore.
Sì amore.
Quello che sentivo sempre dentro di me, solo che mi pareva troppo. Sempre troppo.
Troppe emozioni. Troppo sentire. Troppo intenso. Tutto.
E allora nascondevo. Tenevo a bada, oppure usciva all’improvviso inaspettato ed impacciato come lava da un vulcano in silenzio troppo a lungo.
Anche quel giorno, davanti alla commissione d’esame, tenevo tutto compresso dentro di me, ero una ragazza impaurita, insicura, senza tanta fiducia, un bruco, questo dentro, ma fuori avevo la mia corazza, la mia maschera facilmente riconoscibili ad un occhio attento, che non c’era però..
Se solo un insegnante capisse, in quei momenti, che c’è tanto altro rispetto al corpo che ha davanti. Se solo fosse in grado di cogliere quel seme che, timidamente e fragilmente, sta germogliando, dandogli fiducia. A volte basta anche solo una parola. Uno sguardo. Un gesto. Un ragazzo lo sente se vai oltre ciò che appare. Lo sente se lo sguardo è rivolto al “troppo” che vive trattenuto dentro di sé. Che poi troppo per chi?
Forse basta solo concedersi di viverlo. Semplicemente per come è, senza giudizio e senza forzature o limiti, ma a 18 anni, non lo sai. E se non te lo insegna nessuno, non lo impari così facilmente..
30 anni sono tanti! A volte penso: “Che peccato che la vita sia solo una! Ne vorrei vivere almeno un’altra!! Ma ricordando tutto della prima!!” E chissà forse non cambierebbe nulla.. forse è proprio così che deve andare! Forse dimenticherei tutto.. e ricomincerei da capo.
Eppure una cosa oggi so che voglio ricordare: il mio filo rosso.
Il mio filo rosso è l’amore che, strada facendo, ha creato la sua tela dipinta di colori, accompagnandomi nelle pieghe della vita, partendo da me stessa.
Il disegno all’inizio non è così definito, a volte appare come uno schizzo, ma se cogli che la direzione dello sguardo sei tu, arrivi, pian pianino, a scoprire una figura intera: te stessa.
Il 10 luglio 1990 avevo l’età della mia figlia più piccola e se ripenso a me allora, non mi immaginavo certamente madre, avevo una tale confusione dentro di me, come quella che abita nei cuori e nelle menti di un adolescente che desidera piacere a tutti e non pensa che piacere a se stesso sia la partenza di ogni cammino.
Quanti sogni non dichiarati, quanta poca fiducia, e quanta poca conoscenza vera di me.
Eppure quel filo rosso c’era, intrecciato, a volte aggrovigliato, altre al limite del logorio, ma c’era e c’è, ed oggi lo so perché mi ha guidata fino a dove sono, mi ha guidata verso la direzione dalla quale fuggivo: la conoscenza vera e profonda di quel “troppo” che sentivo, ma che oggi, vivendolo, mi fa sentire intera.
Il filo rosso dell’amore per me stessa mi ha insegnato a legare tutti i pezzi di cui sono fatta oggi e di cui sarò fatta domani, perché tutto continua a scorrere, le mie radici crescono nel terreno, ma le mie foglie spingono verso il cielo.
E’ un filo rosso che non lega, e neanche sottolinea. Trasforma.
E’ un amore che trasforma.
Sempre.
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