A guardare l’altro non è solo l’occhio, ma qualcosa che ha a che fare con la propria storia, le proprie emozioni, il vissuto, le esperienze, le ferite, le fatiche, il cammino, ciò che vogliamo portare nel mondo, i nostri valori, i nostri bisogni, le nostre mancanze, il nostro sentire, ciò che amiamo e ciò che non vogliamo, ma ha a che fare anche con il seme che sta crescendo in noi, di cui non conosciamo ancora i frutti.
Ecco perché guardare l’altro ha a che fare con una scelta personale che deve nutrirsi di delicatezza, gentilezza e amorevolezza, figlie della vita stessa che si dispiega nel mentre, senza posa, senza pause e senza indicazioni.
Non ci può essere sguardo autentico all’altro senza la consapevolezza della mancanza di neutralità dello stesso.
È un pò come entrare in un bosco nel quale non sono indicati i percorsi che spesso non conosce nemmeno chi li vive e li percorre ogni giorno.
Serve meraviglia, ascolto profondo e paziente, serve cuore e cura, attenzione ed errore perché si sbaglia anche senza volerlo ed è nell’errore che si aprono sentieri sconosciuti.
Ognuno di noi ha le proprie lenti con cui guardare l’altro e stare in relazione in maniera armoniosa ed efficace è capire che quelle lenti non potranno mai dare le stesse immagini, anche perché le emozioni che si provano sono diverse, personali e figlie di ciò che è stato, oltre che di ciò che è, nel momento presente.
Possiamo scegliere però.
E la scelta libera sempre, perché ci permette di esprimere ciò che è bene per noi nell’istante in cui compiamo la scelta stessa.
Si può scegliere ciò e chi ci rafforza, ciò e chi ci arricchisce umanamente, ciò e chi ci fa fiorire.
E si può scegliere di lasciare andare ciò e chi non ci fa sentire in armonia e in crescita nel nostro personale cammino di vita, senza rancore e con tanta gratitudine verso le esperienze che spesso ci hanno insegnato da sole, come maestre che ti indicano dove scrivere le lettere sul foglio e quando girare pagina.
Incontrarsi è un attimo, entrare in connessione è spesso un attimo come lo è perdere quella stessa connessione perché nel bosco dell’altro ci si perde spesso.
Tenersi stretti nel tempo è una fatica che si nutre di volontà e desiderio di ricordare che quello sguardo non è neutro e si nutre anche del coraggio di attraversare gli ostacoli della diversità e dell’oscurità di un tragitto non segnato, senza scappare via.
La vita spesso arriva come una spinta violenta che ti toglie di mano l’attrezzo, che per te è risorsa, che stavi usando per piantare il tuo seme, convinto di fare bene.
E non sai nemmeno perché, ma accade e ti ritrovi in un altro terreno, con la percezione di non avere più quella risorsa e magari con un altro seme in mano, di cui non conosci nulla.
Cosa resta allora?
Resta l’amore intenzionale che ti muove.
Resta la motivazione di vedere i frutti di quel seme, perché senti che fa parte di te, perché è nel seme che ci sei tu, a prescindere dal terreno o dalla risorsa necessaria per piantarlo.
Resta la voglia di riprovare ancora una volta, nonostante la luce non sia quella giusta, l’acqua non sia sufficiente, la paura ti blocchi le mani perché il cuore teme di sbagliare.
Resta il desiderio di riempire le crepe con ciò che si è e ciò che si conosce fino a quel momento.
Resta la voglia di guardare ciò che manca senza volerlo nascondere, ma solo riempire con la gratitudine per ciò che c’è.
Restiamo noi, con le nostre paure e le nostre risorse conosciute e da scoprire.
Resta l’amore verso noi stessi che trattiene il coraggio di esserci comunque.
E qual è la strada da percorrere?
Forse quella della scelta di lasciar andare ciò che rende pesante il cuore, ma soprattutto ciò che appanna le lenti con cui si guarda al mondo rendendo il proprio sguardo all’altro ancora più difficile.
Perché spesso ciò che rende fitta la nebbia è la mancanza di mettere a fuoco: guardiamo oltre quando in realtà ciò che cambia la visione è molto più vicino, è dentro ognuno di noi.
Il nostro sguardo siamo noi, così come siamo nella nostra umanità.
E’ lo sguardo capace di illuminare l’imperfezione della vita, di noi stessi e delle relazioni che abbiamo.
Ed è una luce che ci dona conforto perché ci ricorda che una riga su una parola sbagliata è meglio che usare il bianchetto per cancellarla quella parola, lasciandola, però, abitare nel nostro cuore.
Essere è tutto ciò che c’è.
Voglio fidarmi della mia consapevolezza e pensare che farà da sé come una danza che mi guida verso me stessa nella mia essenza, nel mio esserci esattamente così come sono.
A me non spetta che portare nella mia quotidianità la mia meravigliosa imperfezione.
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