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Set 23, 2021 | Emozioni | 0 commenti

Etichette

Quando si mette una etichetta a fine produzione su una scatola di biscotti o un barattolo di marmellata, la sensazione è quella di definizione, trasparenza e semplificazione.

Lo si fa perché si sa con esatta precisione quali sono gli ingredienti contenuti all’interno.

Lo si fa per far sentire sicure le persone che acquisteranno il prodotto così confezionato.

Con gli esseri umani non è la stessa cosa.

Quando nasce una creatura ne conosciamo la forma, il sesso, le caratteristiche evidenti in quell’esatto momento, pronte, però, a cambiare nel corso del tempo.

Non sappiamo nulla di chi diventerà, di cosa abiterà nel suo cuore, di chi vorrà essere e di cosa vorrà fare.

Ecco perché bisogna avere cura e attenzione nel mettere etichette, anche di fronte ad una disabilità o una diversità, perchè seppure semplifichino certe azioni e schemi da utilizzare, rischiano di creare una gabbia che va oltre ciò che appare, finendo per definire rigidamente ciò che è, al di là di ciò che si possiede, come se restasse per sempre l’unica storia.

Se nasco con una diversità, comunque cresco e vivo come un essere umano con bisogni e desideri in continua trasformazione e magari anche molto diversi da tutti “quelli come me”.

Perché non c’è una uguaglianza neanche quando si possiede la stessa diversità.

Ciascuno è unico.

Comunque.

E ciascuno non è una storia unica.

Ecco perché mi piace l’idea di allenare l’attenzione gentile che sa guardare oltre e che sogna l’impossibile, impedendoci di mettere su una creatura il nome “marmellata” prima del tempo, quando magari poi diventerà cioccolato fondente, o carciofini o maionese!

Pensiamo di avere a che fare con un cibo salato, quando invece lo zucchero si sta solo preparando a nascere.

Ed è così fino alla fine dei nostri giorni.

Siamo in divenire e le etichette non sempre ci aiutano.

Ci fanno sentire di poter essere una cosa sola, quando invece non esiste nemmeno l’etichetta giusta per ciascuno.

Non si possono scrivere tutti gli ingredienti che abitano un essere umano, perché sono sfumati, numerosi e spesso in contrasto tra loro.

Sono fatti di luce, buio, stelle, sole e luna.

Sono fatti di dubbi, domande, pensieri, paure, fatiche che nascondono spesso le gioie, la meraviglia, la dolcezza, la gentilezza, che comunque ci sono.

Tu come ti sentiresti ad essere usato come sale da condimento, quando in realtà ti senti miele per addolcire?

E se venissi sbattuto e montato come un albume, quando in realtà ti senti soffice come l’amido di riso da aggiungere alla farina per aumentare la morbidezza della torta?

Nessuno di noi vorrebbe essere visto, trattato e amato per ciò che non è.

Se in un’occasione sono stata timida, non significa che sia una persona timida.

Se mi sono arrabbiata fortemente, non sono una persona rabbiosa.

Se un giorno mi alzo con la voglia di fagottino crema e mela, non significa che ne abbia voglia ogni mattina.

Se nasco con i capelli lisci non è detto che restino tali per sempre.

Se possiedo il pepe nero, non sta scritto da nessuna parte che debba essere usato solo per dare pizzicore e non è detto che possa trasformarmi in pepe rosa o verde, o anche sale grosso.

So che per convenzione e comodità spesso è utile etichettare anche le persone, lo comprendo e lo capisco.

Ma se provassimo a farlo fermandoci ai singoli gesti, alle specifiche parole, a ciò che viene fatto in un istante che non è mai unicamente ciò che si è, o a ciò che si possiede che non definisce chi si è?

Forse è una strada.

Etichettare fa rima con guardare, giudicare, classificare, sistemare, e ci sta! Serve anche quello! Eccome!

Io amo ricordare però anche altre rime: amare, curare, sognare, vedere, stare, accarezzare.

E amo ricordarlo quando sono la prima a chiudermi dentro una etichetta preparata per me, ancora prima della mia nascita e ancora prima di diventare una persona che decide di andare nel mondo e vivere chi è, senza magari saperlo esattamente.

Non impacchettiamoci limitando la nostra essenza.

Non facciamolo neanche con gli altri che magari sono ancora, come noi, in formazione, e di sicuro in trasformazione.

Un po’ come un bambino che cerca di capire cosa ama e cosa no.

La sicurezza di un’etichetta aiuta senza dubbio, ma non deve mai diventare un ostacolo che impedisce la trasformazione in altro, o una calamita che attrae solo se stessa, o un peso che stabilisce un destino.

Ecco questo io auguro a me stessa e a tutte le persone: di vivere l’opportunità di poter essere altro se lo si desidera, o comunque di poter vivere la libertà di togliere l’etichetta che ci hanno dato, come fosse un leggero post-it messo, eventualmente, come pro-memoria, e non un marchio a fuoco indelebile e vivere con leggerezza il soffio della vita che lo stacca e/o lo sostituisce creando, ogni volta, ciò che è.

Lo sguardo a noi stessi e all’altro non può, a mio parere, prescindere da questo.

Non siamo solo ciò che pensiamo.

Non siamo solo ciò che facciamo.

Non siamo solo ciò che gli altri vedono di noi.

Non siamo solo ciò che vogliamo essere.

Siamo molto di più.

Siamo energia che non vuole etichette impossibili da staccare.

Siamo potenzialità.

Siamo vita.

E la vita non si fa etichettare in maniera definitiva, è fatta di svariati fuori programma e ha mille ingredienti che possono creare infinite combinazioni.

Permettiamoci di viverle amandoci e accogliendoci profondamente e sinceramente.

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